Nel 2016 un uomo aveva accoltellato ripetutamente il rivale in amore. Era stato condannato a 5 anni con l’aggravante. Ora il processo è da rifare.
Quello di Nunzio, che il 23 marzo 2016 a Pozzuoli aveva ripetutamente accoltellato Alessandro dopo un’accesa discussione al bar, e solo perché aveva scoperto che era l’amante di sua moglie, era stato il classico dramma della gelosia. Dalla colluttazione Alessandro era uscito con ferite al torace, alla spalla e alla schiena, e con una costola rotta.
Per questo Nunzio, che non aveva alcun precedente penale, era stato condannato in primo grado a sei anni e a cinque in appello per tentato omicidio, con l’aggravante dei futili motivi.
Ma ora la Corte di cassazione (con la sentenza n. 49129, depositata il 26 ottobre) ha deciso che il sentimento alla base dell’aggressione e del reato, per l’appunto la gelosia, non possa configurarsi come un “futile motivo” e quindi non debba né possa essere considerato un’aggravante.
Risultato concreto: su quello specifico punto il processo dovrà essere celebrato nuovamente, di fronte a una diversa sezione della Corte d’appello di Napoli.
La Cassazione, insomma, ha dato ragione a Nunzio, là dove l’imputato aveva chiesto l’annullamento dell’aggravante perché “riferirsi ai sentimenti di affetto o di amore propri di ogni essere umano”, a suo dire, non doveva essere considerato un motivo futile.
I giudici della prima sezione hanno stabilito infatti che “la circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale lievità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento”.
La spinta per commettere il reato diventa giuridicamente “futile”, insomma, e quindi è irrilevante e sproporzionata agli occhi della giustizia, solo quando “secondo il comune modo di sentire” è un semplice pretesto per il reato, e non un vero e proprio motivo.
Nelle motivazioni della sentenza, i giudici fanno l’esempio di una condanna che la stessa Cassazione aveva stabilito nel 2014, e che in quel caso era stata correttamente aggravata dai futili motivi in quanto censurava “una rissa insorta per questioni di tifo calcistico, in quanto la passione sportiva non può mai giustificare manifestazioni di violenza”.