Per la Suprema Corte, l’occasionalità del comportamento, l’assenza di precedenti disciplinari, il contesto in cui va inserita la condotta e l’assenza di conseguenze sul piano lavorativo, impongono la sola sanzione conservativa.
In tema di sanzioni disciplinari, tra cui rientra a pieno titolo anche la sanzione più afflittiva del licenziamento, al fine di valutare la correttezza e la proporzionalità del provvedimento assunto dal datore di lavoro in danno del proprio dipendente – a prescindere dall’esistenza di determinate clausole del contratto collettivo e dalla conseguente previsione di una determinata sanzione in relazione ad una condotta tipizzata del lavoratore -, il Giudice deve concretamente accertare la condotta tenuta dal dipendente e quella del datore di lavoro, oltre alla gravità delle violazioni imputate allo stesso nonché il rapporto di proporzionalità tra la sanzione inflitta e l’infrazione contestata.
In virtù di ciò, il licenziamento può dirsi legittimamente comminato qualora con la propria condotta il lavoratore abbia irreparabilmente compromesso il vincolo fiduciario, evenienza che non consentirebbe la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Posti tali principi di carattere generale, il comportamento violento tenuto dal dipendente nei confronti della collega di lavoro, consistito nello strattonamento della stessa, nell’alzare il tono di voce e nell’afferrarle il braccio tirandole il maglione, allo scopo di portarla fuori dall’ufficio, tenuto conto dell’occasionalità del comportamento, dell’assenza di precedenti disciplinari e della mancanza di conseguenze sul piano lavorativo, legittima l’applicazione della sola sanzione disciplinare conservativa, piuttosto che quella espulsiva del licenziamento.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Sezione lavoro, nella sentenza n.33027, depositata in data 20 Dicembre 2018.