Messa alla prova: giudice non può modificare programma senza consenso dell’imputato

E’ illegittima la modifica del programma di trattamento, elaborato ai sensi dell’art. 464 bis c.p.p., comma 2, che venga disposta dal giudice senza la consultazione delle parti e in assenza del consenso dell’imputato. Lo ha precisato la Terza Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza resa sul caso in esame, in cui il giudice, nell’accogliere l’istanza di messa alla prova proposta dall’imputata in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter (per avere, quale amministratrice di una società per azioni, omesso di versare l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale per l’anno 2009, pari a Euro 278.497,00) aveva modificato il programma di trattamento predisposto dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna prescrivendo di procedere all’integrale pagamento della somma di Euro 278.497,00 a favore della Agenzia delle Entrate, entro il periodo di svolgimento della prova. Il ricorrente aveva denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 464 quater c.p.p., comma 4, essendo stata disposta la modifica del programma di trattamento in assenza del consenso della imputata e nonostante la società di cui questa era stata amministratrice fosse ancora in termini per chiedere la rottamazione della cartella di riscossione emessa nei suoi confronti; aveva altresì prospettato l’errata applicazione dell’art. 168 bis cod. pen. comma 2 assumendo che la mancanza dell’integrale risarcimento del danno non sia ostativa all’accesso a tale istituto in ragione del carattere prescrittivo ma non assoluto della disposizione. La Corte ha accolto il ricorso ritenendo fondato e assorbente il primo motivo. Ha osservato infatti come, sulla scorta del dato normativo contenuto nell’art. 464 quater comma 4 nonché delle caratteristiche dell’istituto, avente base consensuale, il giudice possa integrare o modificare il programma di trattamento solo con il consenso dell’imputato, altrimenti dovendo decidere sul programma elaborato dall’imputato d’intesa con l’ufficio esecuzione penale esterna nella sua originaria formulazione. Ha comunque precisato, in relazione al secondo motivo di ricorso, come l’indicazione contenuta nell’art. 168 bis c.p., comma 2, abbia natura prescrittiva ma non assoluta, nel senso indicato dalla ricorrente, con la conseguenza che la sospensione del procedimento con messa alla prova non debba essere necessariamente subordinata all’integrale risarcimento del danno, dovendo in concreto verificarsi se il risarcimento del danno sia o meno possibile (come evidenziato dalla locuzione “ove possibile”), se la eventuale impossibilità derivi da fattori oggettivi estranei alla sfera di dominio dell’imputato, o se essa discenda dall’imputato, e se, in tale ultimo caso, sia relativa o assoluta e riconducibile o meno a condotte volontarie dell’imputato medesimo, potendo l’impossibilità ritenersi ingiustificata, e quindi potenzialmente ostativa alla ammissione alla messa alla prova, solo in tale ultima ipotesi. Nel caso sottoposto al vaglio della Corte la prescrizione della integrale restituzione di quanto dovuto alla Agenzia alle Entrate risultava non solo priva del necessario consenso della imputata ma anche inesatta, alla luce della facoltà della imputata di giovarsi della rottamazione del debito tributario, al fine di restituire ratealmente il solo capitale dovuto al netto degli interessi. Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte ha disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Isernia per nuovo esame della richiesta della imputata, da compiere tenendo conto dei rilievi formulati riguardo alla necessità del consenso della imputata per modificare o integrare il programma di trattamento già elaborato, e della verifica della effettiva entità del danno da reato e della possibilità del suo risarcimento.

Cassazione penale, sez. III, sentenza 07/02/2018 n° 5784

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