La Cassazione sul processo Eternit bis: al Giudice per l’udienza preliminare è consentita la riqualificazione del fatto contenuto nell’imputazione

Cassazione Penale, Sez. I, 16 maggio 2018 (ud. 13 dicembre 2017), nn. 21732 – 21733
Presidente Carcano, Relatore Boni

Diamo notizia al lettore del deposito delle motivazioni della doppia pronuncia della Sezione Prima della Corte di Cassazione, resa nell’ambito nel noto processo Eternit bis, di cui avevamo già comunicato l’emissione del dispositivo, ivi.

Al termine del primo processo per disastro innominato doloso, conclusosi con il proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione del reato, la Procura aveva formulato richiesta di rinvio a giudizio per l’omicidio volontario di 258 lavoratori dipendenti della nota azienda di lavorazione di amianto nei quattro stabilimenti di Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli.

Il 29 novembre 2016 il GUP di Torino dott.ssa Bompieri, operata la riqualificazione giuridica del fatto in omicidio colposoaggravato dalla previsione dell’evento, aveva emesso tre distinti provvedimenti (di cui avevamo dato atto, ivi): da un lato sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione degli omicidi più risalenti, dall’altro lato, venuto meno il vincolo della continuazione ex art. 81.2 c.p., presupposto per l’unitaria competenza del Tribunale di Torino, sentenza di incompetenza con trasmissione degli atti alle Procure ritenute competenti: Vercelli, per le morti di Casale, Reggio Emilia, per quelle di Rubiera, Napoli, per quelle di Bagnoli. Infine, per i restanti casi occorsi in Cavagnolo emetteva decreto che dispone il giudizio innanzi al Tribunale di Torino.

Su questa complessa decisione avevamo già formulato alcune considerazioni, ivi.

Orbene, proprio tali provvedimenti sono stati oggetto di due separati ricorsi della Procura presso il Tribunale e della Procura Generale presso la Corte di Appello di Torino. Questi due ricorsi hanno condotto alle due sentenze che si allegano, le quali hanno sancito l’inammissibilità delle doglianze sollevate dai due uffici dell’Accusa.

Oggetto di ricorso e di decisione sono stati due temi, l’uno di natura processuale l’altro di natura sostanziale.

Quel che più preme sottolineare in questa sede, perché di maggior interesse generale, è il primo dei due, consistente dell’analisi dei poteri decisori del Giudice per l’Udienza preliminare.

Nei loro ricorsi, infatti, le Procure torinesi censuravano la decisione della dott.ssa Bompieri sul presupposto che l’imputazione, sotto entrambi i profili di fatto e diritto, è prerogativa esclusiva del Pubblico Ministero, così come, a norma dell’art. 423 c.p.p., lo è la sua modifica.

Il GUP insomma dovrebbe “prendere o lasciare” l’imputazione non potendo “sostituirsi” all’Ufficio di Procura, modellandone il contenuto, senza violare la citata norma processuale.

Questa interpretazione è stata recisamente respinta dalla Corte, la quale, ricordando alcuni propri autorevoli precedenti, ha chiarito che rientra fra i poteri del Giudice, anche nell’ambito dell’udienza preliminare, quello di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica.

Vediamo, brevemente, i passaggi argomentativi sviluppati nella parte motiva.

La Corte ha anzitutto precisato che “l’intervento decisorio del Giudice per l’udienza preliminare ha inciso soltanto su due aspetti dell’accusa, ossia sull’elemento psicologico e sulle circostanze aggravanti, senza avere apportato modifiche alla descrizione dei comportamenti individuati come illeciti e del nesso di causalità con gli eventi letali scaturitine”.

Ed ha subito chiarito che “In tali determinazioni (…) non è dato ravvisare la violazione dell’art. 423 cod. proc. pen., che regola l’eventuale mutamento dell’imputazione nel corso dell’udienza preliminare. (…) Nell’interpretazione offertane dalla giurisprudenza di legittimità la norma riguarda modificazioni dell’atto di accusa concentrate sul fatto, inteso quale ‘dato empirico, fenomenico, un dato della realtà, un accadimento, un episodio della vita umana, cioè la fattispecie concreta e non la fattispecie astratta e non, se si vuole, lo schema legale nel quale collocare quell’episodio della vita umana (Cass. pen., S.U. n. 16/1996, Di Francesco). La stessa non riguarda e non preclude, invece, al giudice di attribuire al fatto una diversa qualificazione giuridica, attività che consiste nella sua sussunzione in una fattispecie astratta differente rispetto a quella individuata dall’organo dell’accusa e si risolve nella corretta applicazione della legge. Il principio di legalità, che sorregge l’ordinamento e l’attività giurisdizionale, pretende la propria osservanza in ogni fase del processo, anche all’udienza preliminare, quale snodo di passaggio dalle indagini al giudizio, sicché è consentito e doveroso anche per il giudice che vi è preposto (…) ‘accertare che fatto e schema legale coincidano e, dunque, modificare, se occorre, la qualificazione giuridica del fatto prospettata dal p.m. riconducendo, così, la fattispecie concreta, anche se a determinati limitati fini, nello schema legale che le è proprio’ (Cass. pen., S.U. n. 5307/07, Battistella)”.

E ancora “La modificazione della definizione giuridica del fatto (….), poiché non costituisce mutamento della imputazione intesa quale fattispecie concreta, non interferisce con l’esercizio dell’azione penale e col potere autonomo del pubblico ministero di effettuale le relative scelte, ma estrinseca il controllo di legalità connaturato alla funzione giurisdizionale. Ne discende la possibilità per il giudice dell’udienza preliminare, che dissenta dalla definizione giuridica del fatto assegnata dal pubblico ministero, di individuare gli articoli di legge violati dal comportamento tenuto dall’imputato, come emerso dal materiale probatorio ottenuto dalle indagini, e di inserirli nel decreto che dispone il giudizio in luogo di quelli individuati con l’atto imputativo, nonché di descrivere, con la completezza che ritiene necessaria, il fatto storico oggetto dell’accusa”.

Per ciò che in questa sede rileva, la Corte ha poi indicato una via alternativa alla riqualificazione per opera del Giudice: “Ad ulteriore conferma della correttezza e legittimità dell’operato del giudice merita ricordare che anche in tempi più recenti le Sezioni Unite di questa Corte (…) al fine della ‘stabilizzazione dell’accusa’, hanno ribadito che tale risultato può essere conseguito mediante il potere del giudice di sollecitare il pubblico ministero ad apportare modifiche all’imputazione per il caso di diversità del fatto ex art. 423 cod. proc. pen. o comunque quando la sua formulazione sia incompleta o generica, di restituire gli atti se tali adeguamenti non siano compiuti e di assegnare direttamente al fatto una definizione giuridica diversa”.

***

Le due sentenze, di cui appaiono condivisibili gli approdi, altro non fanno che confermare, anche in capo al Giudice preliminare che per primo si confronta con l’imputazione, la propria autonoma facoltà di applicare il diritto al fatto contestato dalla Pubblica Accusa. Sintetizzando all’estremo, può citarsi il brocardo “iura novit curia”, che va applicato anche all’udienza preliminare.

Non si vedono, su un piano generale, ragioni per dissentire.

Un’unica chiosa, volendo riflettere, può svolgersi rilevando la peculiarità del provvedimento che adotta il Giudice per l’udienza preliminare, qualora non decida di prosciogliere: egli dispone il giudizio con decreto, come tale non motivato.

È questa, rispetto al provvedimento del giudice dibattimentale, una differenza tutt’altro che secondaria. Perché, calata nel tema in analisi, porta ad una conseguenza forse distonica con i principi generali del processo penale: il Giudice preliminare può riqualificare il fatto senza motivare questa sua scelta. Ciò con ulteriori e notevoli riverberi sull’organo giurisdizionale competente per il dibattimento, che in molti casi (vedi ad esempio il Tribunale, competente per l’omicidio colposo, in luogo della Corte di Assise, competente per il doloso) non può, su impulso dell’Accusa, tornare all’originaria più grave riqualificazione, senza spogliarsi del processo, in ossequio alle regole sulla cd. competenza per difetto (artt. 23.1 e 516.1 c.p.p.).

È evidente: il caso sub iudice non aiuta, perché il GUP di Torino, fortunatamente, accanto al decreto che dispone il giudizio, ha pronunciato anche due sentenze, l’una di proscioglimento e l’altra di incompetenza, con le quali ha potuto motivare la propria decisione e permetterne il controllo di legittimità di cui oggi diamo atto.

Quid se si fosse limitato a disporre il giudizio? Certamente le due sentenze chiarificatrici non sarebbero state pronunciate ed ogni questione sarebbe stata rimessa al Giudice del dibattimento.

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